Quanti Oscar costerà lo scandalo social sull’uso dell'AI a The Brutalist?
Scandalo che, tra l’altro, fraintende e distorce l’uso dell’AI nel film.
Come molte storie che circondano questa stagione degli Oscar, quella che sto per raccontare nasce da un tweet. Un tweet di uno dei tantissimi account che rilanciano notizie cinematografiche usando come fonte siti più grandi, più importanti e più aggiornati, riducendone il contenuto a una frase d’impatto. C’è un tremendo termine giornalistico per descrivere questa pratica, il primo di una lunga serie che sarò costretta a usare per arrivare al punto di questa mia riflessione.
Che sarà lunga, cercherà di mantenere toni civili - ma non escludo qualche momento di scoramento e volgarità - e che includerà qualche informazione sulle fasi avanzate di The Brutalist di Brady Corbet. Non le definirei spoiler nemmeno dal punto di vista più ortodosso del termine: si tratta della breve descrizione della location e dell’ambientazione storica della scena di chiusura. Procedete però secondo quanto vi detta la vostra religione cinematografica.
Ultima messa di mani avanti: quanto racconto lo scrivo in presa diretta basandomi sul mio feed di Twitter e sulle limitate funzioni di ricerca della piattaforma. Considerando quanto è diventato accurato l’algoritmo, non è detto che sia verità assoluta, ma datemi il beneficio del dubbio: ci andrò molto vicino. Anche io potrei prendere qualche granchio strada facendo, dato che il cuore della questione è che, come spesso accade, si sono prese dichiarazioni fattuali di professionisti che hanno lavorato a un film e si sono distorte in una mostruosità volta a distruggere la corsa all’Oscar di una pellicola, nel pieno delle votazioni per gli Academy Awards. Spesso dimostrando di non aver visto il film in questione. Che non è una colpa, ma forse dovrebbe suggerire una certa prudenza nel parlarne.
Torniamo al tweet e all’orrendo termine pseudo giornalistico. Spillolare. Questi account raccolgono seguiti non da poco spillolando il lavoro altrui in piccoli tweet acchiappa attenzione. Perché? Ne riparleremo in futuro. Il punto è che qualcuno lancia un tweet citando il lavoro di qualcun altro, il più delle volte senza fonte originaria. Siccome sta su Twitter, siccome l’algoritmo è un cecchino e siccome retwittiamo prima di pensare, il tweet spesso esplode.
Eccolo qui, uno dei tweet che potrebbe costare a The Brutalist un numero non quantificabile di voti agli Academy Awards. Uno dei tweet che gli costa già una sommaria associazione a pratiche percepite come losche e truffaldine, perché spiegazioni come questa sono lunghe e faticose mentre un tweet è veloce da leggere, fraintendere e diffondere.
Essendo la sottoscritta una delle idiote della vicenda, non ho screenshottato questo tweet quando mi sono imbattuta nello stesso il 18 gennaio 2025, giorno dalla pubblicazione. Motivo per cui non ho la prova che sia stato modificato successivamente. Io lo ricordo: senza fonte nel testo, ma con incluso un link che rimandava a un articolo pubblicato dal sito proprietario dell’account. Un dettaglio importante da tenere presente per le fasi successive della storia.
Feature First è un account Twitter di cui sopra, non uno dei più popolari, con annesso un sito di news, recensioni e approfondimenti che ha come raggio d’azione quasi tutto lo scibile umano. Sul sito è postato l’articolo con cui io sono arrivata a questa storia, che ricordo di aver letto cliccando sul tweet (ribadisco: ora non c’è più, sostituito da un’immagine tratta dal film).
L’articolo in questione è un classico del giornalismo taglia e cuci. Qualcuno ha fatto un buon pezzo che contiene una marea d’informazioni interessanti su un argomento molto attuale: The Brutalist, uno dei grandi contender alla corsa all’Oscar 2025 come miglior film.
Allora tu giornalista che sai fare il tuo lavoro come procedi? Estrapoli uno dei contenuti rilevanti dello stesso, citi la fonte, ci fai un bel titolo e rilanci la notizia o crei una valutazione o un’analisi che trasformino il lavoro di un altro in qualcosa di nuovo e tuo. Considerando quant’è difficile oggi avere un contatto diretto con chi il cinema lo fa per parlare dello stesso e non per generare meme, interagire con cuccioli o mangiare alette di pollo piccanti, è un approccio quasi virtuosistico.
Solo che c’è sempre un rischio dietro quest’operazione: prendere un granchio. Sempre che si sia armati di buone intenzioni e non si voglia proprio fare l’opposto, andando a caccia di controversie.
Questa storia la racconto a partire dal tweet di Feature First perché io mi sono imbattuta nel loro pezzo, ma probabilmente il primo rilancio è avvenuto altrove. Ipotizzo Reddit. Difficile dirlo, data la quantità di account e siti d’informazione che vivono di rilanci di contenuti altrui e la velocità con cui rielaborano contenuti. Il pezzo di Feature First quantomeno ha una firma, un autore e la testata stessa ha una pagina dedicata alla redazione e una descrizione di chi sono e cosa fanno (cosa tutt’altro che scontata).
Il prezzo s’intitola ‘The Brutalist’ Criticised For Its Use of AI, ponendo l’accento su una critica che da qualche parte, sotto traccia, circola sui social. Solo che, se l’algoritmo non ha ancora capito che tu reagirai a quell’argomento cominciando a proporti qualsiasi tweet in merito per farti incavolare e tenerti un minuto in più sulla piattaforma, tu questa benedetta controversia non la intercetterai mai.
Dal Festival di Venezia in poi, io ho parlato su Twitter e fuori di The Brutalist in termini più che elogiativi. Per lavoro e per passione ho interagito con ogni polemica relativa a questa tornata degli Oscar, dalla più contestualizzata alla più demenziale. Sono il target audience perfetto di questo contenuto, che esplode in tutta la cerchia cinefila che segue l’Award Season tra il 16 e il 18 gennaio 2025. Quando questa storia comincia a circolare sui social però è tutta un’altra storia, molto più difficile da ricostruire.
C’è un solo punto cronologico fermo: l’articolo citato da Feature First e screenshottato da chi attacca il film di Brady Corbet. Il pezzo citato in merito all’uso dell’AI che scatena tante critiche. Nel pezzo di Feature First però non ci sono embeddate suddette critiche tratte dai social, quindi io, che sono sospettosa, penso: si sta creando giornalisticamente la polemica del giorno cavalcando qualche decina di messaggi o ci sono già centinaia e centinaia di tweet e si sta facendo cronaca del sentimento social? Nel momento in cui io mi imbatto nella storia, siamo più o meno a metà strada tra il punto a e il punto b.
Cosa dice l’articolo di Feature First, le cui citazioni dal pezzo originale girano nei tweet indignati dei cinefili? Che in The Brutalist si è fatto uso di intelligenza artificiale generativa. Per alcuni questo equivale già a un crimine, un peccato, che squalifica completamente chiunque lo commetta e la sua opera. Siccome abbiamo già abbastanza posizioni da decostruire, questo tipo di condanna la diamo per assodata e procediamo.
I punti del contendere principali sono due, così come gli utilizzi dell’AI rivelati nell’articolo originario. Uno riguarda l’utilizzo di un software dell’azienda ucraina Respeecher, che impiega l’AI generativa per apportare modifiche a tracce audio contenenti del parlato. Su Feature First ci spiegano che è stato usato per assisting in helping the actors sound more Hungarian with AI enhancements to their voice, aiutare gli attori a “suonare più ungheresi”, ritoccando le loro voci. Segue estratto dall’articolo originale in cui si spiega che i protagonisti del film Felicity Jones e Adrien Brody erano consapevoli di questa modifica in post produzione e che l’ungherese è una lingua molto difficile da pronunciare bene per i non nativi.
Il fraseggio di chi ha scritto questo articolo è abbastanza vago e, da collega, penso di sapere perché: perché chi ha scritto non riesce a capire, o non è certo, di che tipo di dialoghi si stia parlando.
La mia nettissima impressione è che si stia scrivendo un articolo con un taglio apparentemente neutrale ma con un titolo tale da aumentare l’engagement. Senza però aver visto il film. Il che non è una sorpresa: uscito in pochissime sale negli Stati Uniti, ancora inedito nel resto del mondo o quasi, senza copie pirata in alta o bassa qualità disponibili per vie traverse, The Brutalist è il cruccio di chi braccato dalla FOMO vuole dire di aver visto tutto quel che c’è da vedere in chiave Oscar nel 2025.
Sfortunatamente per noi e per Adrien Brody, tra i favoriti all’Oscar come miglior attore protagonista con questa interpretazione, non aver visto il film non ferma una marea di utenti dal ritwittare la notizia, travisandola. La mia è un’ipotesi, una ricostruzione, ma mi sembra abbastanza coerente alla luce di precedenti storiacce di questo genere da sottoporvela: utenti cronicamente online con già un candidato favorito alla corsa all’Oscar intercettano il tweet, leggono distrattamente la citazione, magari da uno degli account che traccia l’equazione: uso di AI generativa = male assoluto.
Se va bene, suddetto utente di The Brutalist ha visto giusto il trailer. Da settimane cerca di farsi un’idea, o magari trovare lo spunto giusto per tirare acqua al suo mulino in una guerra che percepisce come totale ma raramente fuoriesce da una micro-bolla su Twitter, che già è una bolla di sapone di suo.
Trionfante, ricondivide: un accento generato o migliorato dall’AI non può vincere l’Oscar! Non a sfavore del mio beniamino. Da lì il diluvio universale, nella bolla ovviamente. Un’ondata di critiche tali che il regista Brady Corbet è costretto a intervenire, via Variety. Non si scusa però, dato che emerge che non c’è nulla di cui scusarsi, come scopriremo a breve.
Secondo punto del contendere e il vero scivolone preso da Feature First, quello che mi dà la quasi matematica certezza che chi parla il film non l’ha visto. L’AI generativa è stata utilizzata anche per la scena di chiusura del film. Solita citazione dall’articolo fonte, con questa frase come chiosa:
On the other hand, Generative AI is used to entirely create a sequence towards the end of the movie.
D'altra parte, l'IA generativa viene utilizzata per creare interamente una sequenza verso la fine del film.
Creare interamente una scena usando l’intelligenza artificiale suona importante, impattante. Forse sbagliato. Specie per un film che ha come vanto, come punto di forza, come stemma quello di essere costato solo dieci milioni di dollari, ma di essere prodotto con una cura tale da sembrare constarne cento e più. Un film girato su pellicola, in formato VistaVision, che ha fatto dire a tanti un film così non lo vedevamo da anni e forse non lo vedremo mai più (qui mi sto autocitando).
Invece Twitter si scatena: costa poco perché non ha pagato chi ci ha lavorato, anzi no, ha rubato il lavoro ad altri via AI generativa, ha preso scorciatoie illecite, ha tagliato posti di lavoro. Un’intera sequenza generata (generata, quindi da zero?) via AI. In un film sulla creazione artistica, sul genio umano schiacciato dal dio denaro capitalista. Che smacco, che scandalo.
Ora farò una cosa che bisognerebbe fare sempre in questi casi. Che dovrebbe essere quella sì, una religione, un comandamento. Andrò a leggere e sintetizzarvi l’articolo originario, la fonte.
Di nuovo, sono abbastanza sicura che la fonte primaria non fosse linkata nel tweet di Feature First in cui mi sono imbattuta perché ricordo di essere andata via motore di ricerca a caccia dell’articolo in questione. Cosa che non avrei fatto se il link fosse stato a portata di mano. Sappiamo che su Twitter c’è possibilità di modificare un tweet senza lasciare traccia avendo un account a pagamento con la spunta blu. Feature First la spunta ce l’ha.
La fonte principale di questa storia è questo articolo.
Ricordo anche di aver pensato “ah ecco!”, scoprendo che l’articolo originario l’ha pubblicato RedShark News. Un sito nato nel 2020 con oltre 50 collaboratori da tutto il mondo, specializzato nel racconto della tecnologia legata alle immagini in movimento: film, tv, videogiochi. Un sito così specializzato che mi è capitato di leggerne i reportage tenendo aperte decine di schede nel mio browser in cui cercare informazioni sui software, sulle aziende e sulle tecnologie citate nelle interviste destinate a un pubblico specializzato. Finalmente arriva il primo punto cronologico fermo: il pezzo è stato pubblicato in data 11 gennaio 2025, quindi una settimana prima dell’apice della polemica via Twitter.
Altro segnale di… qual è il contrario di red flag? Il sito mi avvisa che l’articolo originario prevede un tempo di lettura di nove minuti. Ovvero siamo di fronte a un lunghissimo approfondimento, che nasce da un’intervista al montatore ungherese di The Brutalist Dávid Jancsó, collaboratore di vecchia data di Corbet. Un pezzo pazzesco, che suscita la mia instantanea invidia, perché restituisce una quantità tale d’informazioni pressoché inedite sul film da farmi pensare: ecco, vorrei averlo scritto io. Scritto e curato da qualcuno che, palesemente, il film in questione l’ha visto.
Le informazioni che interessano a noi stanno nel penultimo paragrafo. L’ultimo - per la cronaca - è un aggiornamento che riporta le dichiarazioni di Corbet post ciclone di critiche sui social. Quindi è anche un articolo aggiornato da una redazione attenta. Ci torniamo dopo.
Il penultimo paragrafo s’intitola: Subtle and sensitive use of AI. Una sostanziale differenza di tono da Feature First. D’altronde RedShark News si occupa di AI, ha un’intera sezione dedicata. Diamo pure per assodato che sia sfacciatamente pro intelligenza artificiale generativa. Leggiamo l’intero paragrafo, che contiene le due citazioni riprese e rimbalzate ovunque. Fatto?
Le integriamo con altri due presupposti: Dávid Jancsó è ungherese; io ho visto il film. Ora ricostruiamo la storia, sulla base dei fatti e delle parole di chi a questo film ci ha lavorato.
In The Brutalist gli interpreti principali Adrien Brody e Felicity Jones sono due emigrati ungheresi che scappano negli Stati Uniti dopo essere sfuggiti alla morte durante l’Olocausto. Sin dall’apertura del film, ci sono lunghe scene in cui dialogano in ungherese. Quando utilizzano l’inglese hanno entrambi un forte accento, ma in alcuni passaggi parlano ungherese, sottotitolato in sovrimpressione. A partire dall’apertura vertiginosa del film, in cui sentiamo la voce fuori campo di Jones che legge una lunghissima lettera in ungherese al marito, sorpresa e sconvolta dalla felicità di avere sue notizie, di saperlo vivo.
Questi passaggi in ungherese, sottotitolati nella lingua di fruizione del film, si avvantaggiano del fatto che i due interpreti abbiano lavorato per mesi con una specialista che li abbia guidati nell’apprendere la lingua, per pronunciarla al meglio. Brody poi per parte materna ha legami con l’Ungheria, quindi non era completamente digiuno della stessa. L’ungherese però è una lingua molto ardua da parlare correttamente per i non nativi. Specie se devono “suonare” come tali; prova già difficile di per sé, anche per gli interpreti più abili, quale che sia la lingua da padroneggiare.
Non che chi non è ungherese abbia modo di capirlo, sentendoli parlare. Tuttavia il livello di perfezionismo di chi lavora a questo film è tale che Dávid Jancsó, ungherese, intercetta una compagnia ucraina con un software di modifica di tracce vocali che consente a lui, che l’ungherese lo sa, di curare in post produzione un ritocco delle vocali pronunciate nelle registrazioni audio di Brody e Jones. Ovvero le lettere che rendono palese, a chi è ungherese, che i due non sono parlanti nativi.
Usando come traccia la voce del montatore che ripete le battute in ungherese da nativo della lingua, i tecnici dell’azienda ucraina che ha creato il software proprietario basato su AI generativa ritoccano e perfezionano le battute dei protagonisti. Questo processo - ha poi spiegato Corbet - è stato fatto manualmente da operatori specializzati nel software in questione. Creando lavoro? Oserei direi.
Si sarebbe potuto fare con altri software non basati su AI generativa, come un tool di ProCreate, ha sottolineato su RedShark News . La produzione però aveva pochi soldi, il lavoro era tanto e Respeecher ha consentito di perfezionare il film entro il budget stabilito.
Suona lievemente meno scandaloso e molto più “film girato e post-prodotto da gente affetta da un insano perfezionismo?” Probabilmente sì. Giusto per fugare ogni dubbio Brady Corbet ha dichiarato che nessuna battuta in lingua inglese è stata ritoccata. Quindi se Adrien Brody vincerà l’Oscar, sarà perché sa anche fare un accento ungherese decente che, considerando le sue origini da parte di madre, non è nemmeno così sorprendente.
Nota bene: facendo una rapida ricerca nel sito di questo specifico tool ucraino si scopre che è stato utilizzato anche nel film Emilia Pérez, altro concorrente di pregio agli Oscar 2025. Con che finalità? In quante scene? Non è dato sapere. Ultima chiosa: questo è il software di una piccola azienda ucraina. Altri film in corsa agli Oscar 2025 potrebbero aver usato altri software a base di AI generativa di altre aziende.
Quindi una certa fanbase che si strappa i capelli perché il proprio beniamino ha ricreato il modo di parlare e cantare in un famoso cantautore “senza aiutini digitali” farebbe bene a interrogarsi su cosa dia loro la certezza che tool come ProCreate (senza AI) o ReSpeecher non siano stati utilizzati in quel caso. Perché questa certezza, a meno che i diretti interessati ne parlino apertamente o a meno che a fine titoli di coda non compaia la scritta che già qualcuno usa questo film è stato creato senza l’utilizzo di AI generativa, oggi non l’abbiamo.
Ora vi sblocco un ricordo: l’anno passato, in piena corsa agli Oscar, la regista Greta Gerwig disse orgogliosa: per Barbie ho voluto usare il meno possibile i green screen. Raccontò di come si fossero dipinti a mano i fondali dei set, creando prop fisici come le gambe giganti della bambola a inizio film, promettendo intere scene senza interventi di natura digitale. Lo riportò TIME, così come molte altre testate a cui la regista rilasciò dichiarazioni in merito.
Solo che pochi giorni dopo, su Twitter e su Reddit, account di professionisti della VFX bollarono quell’uscita come una sciocchezza, spiegando di aver lavorato al film e ritoccato centinaia di passaggi, anche su dettagli infinitesimali come far sembrare le capigliature dei protagonisti più folte e voluminose. Lo rammentate?
Forse no, perché non avete dato l’impressione a Twitter o al vostro social di riferimento di essere interessati alla questione. O forse perché quasi nessuno all’epoca si prese la briga di provare a fare il punto in merito, anche se i diretti interessanti (o almeno quanti non avevano firmato un NDA) erano lì sui loro account a spiegare che ritocchi digitali c’erano eccome. Diretti interessati che spiegavano anche come non ci fosse nulla di male in merito a parte fingere il contrario, perché sarebbe ora di smettere di demonizzare per partito preso gli effetti visivi?
O forse perché questo approfondimento di The Movie Rabbit Hole in quattro parti su YouTube (qui potete vedere quella dedicata a Barbie) ha detto quasi tutto quello che c’è da dire in merito: quanto sia pretestuoso condannare come cinema pigro quello che usa la CGI e perché la campagna promozionale di Barbie abbia tentato a ogni costo di cancellare la presenza di schermi blu e verdi, per paura della reazione negativa del pubblico. Così come quella di Oppenheimer di Christopher Nolan e dell’ultimo Mission: Impossible, ben inteso.
Passiamo al secondo uso di intelligenza artificiale generativa in The Brutalist. Limare l’apertura delle vocali nelle battute pronunciate in ungherese che comunque ne io né voi avremmo mai intercettato diciamo pure sia perdonabile, ma che dire di un’intera scena generata via AI?
Torno all’articolo di Feature First, che ci informa come:
GenAI is also used right at the end of the film in a sequence at the Venice Biennale to conjure a series of architectural drawings and finished buildings in the style of the fictional architect.
L'intelligenza artificiale generativa viene utilizzata anche alla fine del film in una sequenza ambientata alla Biennale di Venezia per evocare una serie di disegni architettonici ed edifici nello stile dell'architetto fittizio.
Lasciate che vi descriva la scena, che durerà, diciamo, meno di un minuto su quasi quattro ore di film. Carrello, da sinistra a destra, su un corridoio di un ambiente museale alle cui pareti sono appesi dei bozzetti di edifici brutalisti disegnati dal protagonista del film. Se non ricordo male, segue breve montaggio con sei o sette close-up di fotografie dei suddetti edifici e una breve animazione di un rendering.
Quello che è stato generato dall’intelligenza artificiale sono i bozzetti e le foto, non l’intera scena. Anzi no, perché scavando appena più a fondo, si scopre che Judy Becker, production designer di lunga esperienza (Brokeback Mountain, Amsterdam), ha lavorato con un intero team alla parte architettonica della pellicola: bozzetti, foto, modellini. Nel pezzo di Variety che riporta la notizia c’è una foto di Judy Becker col suddetto team.
Come l’ho scoperto? Perché nel mezzo del delirio di tweet qualcuno aveva screenshottato, senza fonte ovviamente, un passaggio dell’articolo. Variety è una fonte affidabile, specie se il pezzo precede di un mesetto la suddetta polemica.
Quindi no, The Brutalist non ha tagliato posti di lavoro o ridotto le paghe dei suoi collaboratori usando l’AI generativa per creare una scena ex novo. Scena che tra l’altro è stata girata in loco, come si desume dai titoli di coda del film. La sequenza veneziana è stata girata a Venezia, usando una cinepresa specifica in modo da riprodurre l’aspetto del girato tipo negli anni ’80, dato che il film si chiude in quell’epoca.
Raggiungiamo l’assurdo se vi dico che si sono pure presi la briga di creare un sottofondo di voci che si urlano cose in italiano (se non ricordo male una donna che grida sul canale “Marco, abbassa la musica!” in perfetto italiano, non so se ritoccato dall’AI o meno) e un mix d’interferenze radiofoniche con brani dell’epoca.
La sequenza è stata girata dal vero e in loco, ma almeno i bozzetti sono stati generati dall’AI, quindi rubando il lavoro di tanti bravi architetti brutalisti sintetizzati da uno strumento controverso? No. No perché i suddetti bozzetti Judy Becker li ha commissionati a un architetto. Un vero architetto, consulente del film. È stato lui, Griffin Frazen, a usare Midjourney per creare tre bozzetti. O meglio ancora a usare quelli e altri riferimenti interni al film e storici per creare i bozzetti con Midjourney, come raccontato a dicembre 2022 (tre anni fa) in questo pezzo di Filmmaker Magazine. Ottima lettura dedicata a quanti hanno cominciato a utilizzare strumenti quali DALL E e Midjourney nella lavorazione dei loro film. Riporto la citazione completa:
For a sequence showing a retrospective of his work, Becker says architecture consultant Griffin Frazen used Midjourney “to create three Brutalist buildings quite quickly” by using references to key figures in the movement along with other architectural terms.
Per una sequenza che mostra una retrospettiva del suo lavoro, Becker afferma che il consulente per l'architettura Griffin Frazen ha utilizzato Midjourney "per creare rapidamente tre edifici brutalisti" facendo riferimento a figure chiave del movimento insieme ad altri termini architettonici.
Ok, quindi a usare l’AI è stato un architetto e consulente assunto dalla produzione del film per arrivare velocemente a un risultato plausibile a partire da fonti storiche pubblicamente disponibili. Però quantomeno i bozzetti che vediamo nel film, quantomeno quelli li ha fatti l’AI. Ancora no. Sempre citando Becker da Filmmaker Magazine:
Now I will have these digital prints redrawn by an illustrator to create mythical buildings.
Ora farò ridisegnare queste stampe digitali da un illustratore per creare edifici mitici.
I bozzetti che vedrete in The Brutalist, quelli generati da un’AI usata da un consulente esperto di architettura, sono stati stampati digitalmente e poi è stato pagato un illustratore professionista per ridisegnarli. Come l’ho scoperto? Perché ho cercato le fonti di notizie che rimbalzavano qua e là nel dibattito ormai infuocato, andandole a leggere fuori da Twitter.
Nel frattempo chi è tornato sulla questione? RedShark News. Con un secondo pezzo dedicato che, avendo i contatti diretti a chi ha lavorato al film, non si basa su tweet e sulla (poca) memoria fotografica della sottoscritta, ma sulle testimonianze di chi il film l’ha realizzato. Lo potete leggere qui.
Si evince che la polemica è scoppiata su Reddit e su Twitter quasi in contemporanea, rimbalzando da uno all’altro. Solo che io Reddit non lo frequento, quindi la polemica mi ha raggiunto da Twitter. Il che fa di me una giornalista perché, come riporta Red Shark News, i siti d’informazione più o meno autorevoli hanno raccontato e amplificato questa storia quando l’hanno intercettata su quella piattaforma. RedShark News lo sa perché può monitorare il traffico in entrata sul suo sito, da dove arriva, quanto, come.
Cosa ricaviamo da questa storia, a parte il fatto che è sempre meglio risalire alle fonti primarie di una notizia che qualcuno risputa su Twitter o Reddit ritagliata ad arte? Innanzitutto che costa tempo e fatica. Mi ci sono volute quattromila parole che probabilmente pochi di voi avranno letto per intero, perché un tweet con uno screenshot è veloce, sexy, rock. Perché avete una vita e valutate il vostro tempo abbastanza oculatamente da non spendere le ore che ho speso io a riassumere l’intera storia contestualizzandola via Twitter.
Contestualizzare un tweet veloce, sexy e incendiario richiede un’infinità di parole, di link, di fonti, di dubbi, di possibili altri scivoloni. Certo in corso d’opera si scopre che il giornalismo fatto bene è vivo e vegeto, se si va a cercalo.
Ne vale a pena, per una polemica abbastanza idiota, scoppiata dentro una bolla di una bolla? Sì. Infatti Brady Corbet è subito andato da Variety a chiarire. Testata istituzionale di cinema che viene ripresa e citata meglio, a differenza di chi ha fatto il lavoro migliore qui, cioè RedShark News.
Che, se dovessi azzardare una teoria, ha bussato alla porta di siti come Feature First risalendo la corrente come me, chiedendo (esigendo?) di essere citati come fonte. O forse ha fatto tutto Feature First quando si è accorta di aver peso un granchio, ma senza correggere anche il pezzo sul sito, che ora vi ho citato io.
Ne vale la pena perché da quella bolla dentro la bolla attingono tutti i giornalisti del mondo. Anche quelli le cui testate rilanciano, con tutta calma e con titoli tanto sbarazzini, questo genere di notizie curiose. Testate che non credono nei redattori fissi e preparati su certe tematiche, che pensano che con Twitter, senza contatti (senza contratti?) e seduti a una scrivania, si possa parlare di tutto e per bene. Almeno a quanti le testate fighette anglofone non le leggono.
The Brutalist rimarrà per sempre “il film con un’intera sequenza generata in AI” da qualche parte su Internet, Adrien Brody “l’attore il cui accento ungherese è stato potenziato digitalmente”. Se va bene, grazie a qualche tweet con screenshot allegato ma senza fonte.
Se va male, tra un paio di giorni su qualche testata autorevole che intercetterà la polemica, non cercherà le fonti e quindi forse non troverà repliche. Perché affiderà il rimpasto della questione a qualcuno che scrive di cinema ma anche di tutt’altro, alla bisogna, occupandosi di tutto lo scibile umano o quasi, fonti inglesi alla mano.
Magari una testata italiana che, essendo riconosciuta come affidabile, diventerà a sua volta fonte autorevole tra uno, dieci, cento anni. Almeno fino a quando non saremo pronti a fare un discorso serio e trasparente sull’uso dell’AI e non solo al cinema. Magari interrogandoci sul perché solo il team di The Brutalist parli dell’utilizzo di questi software nella lavorazione del loro film, quando sappiamo che altri Oscar contender lo hanno fatto e altri ancora non hanno chiarito la loro posizione in merito.
La risposta sta, ancora una volta, su RedShark News e la dà Dávid Jancsó, il montatore ungherese del film (fun fact: tra i suoi familiari c’è un architetto che frequentò la scuola Bauhaus, come il personaggio di Brody):
It is controversial in the industry to talk about AI, but it shouldn't be. We should be having a very open discussion about what tools AI can provide us with. There’s nothing in the film using AI that hasn't been done before. It just makes the process a lot faster. We use AI to create these tiny little details that we didn't have the money or the time to shoot.
È controverso parlare d’intelligenza artificiale nel settore, ma non dovrebbe esserlo. Dovremmo avere una discussione molto aperta su quali strumenti l'AI può offrirci. Nel film non c'è nulla che la utilizzi che non sia già stato fatto prima. Semplicemente il suo uso rende il processo molto più veloce. Usiamo l'AI per creare quei piccoli dettagli che non avevamo il budget o il tempo per girare.
Sarebbe per esempio interessante capire quanti dei futuri dieci candidati all’Oscar come miglior film abbiano utilizzato l’AI e a che scopo. È solo una questione di soldi? Probabilmente no, considerando che Dune: parte due, costato centonovanta milioni di dollari (diciannove volte The Brutalist) ha utilizzato un software basato sull’AI per colorare d’azzurro gli occhi dei protagonisti assuefatti dalla Spezia. Processo che si poteva fare con software non basato sull’AI, ma non altrettanto velocemente.
Abbiamo una fonte? immagino vi state chiedendo. Bravi. Certo che sì: il regista Denis Villeneuve.
Fonte che ho intercettato grazie a un tweet, perché Twitter non è il male assoluto, anzi, se lo si usa bene. Consiglio la lettura di questo thread dove ho scovato quest’informazione.
Quello che ci dovrebbe veramente preoccupare sta altrove. Sta nello scandalo James Baldoni vs Blake Lively, anche quello nato, covato, risorto e ancora in corso di svolgimento su Twitter. Scandalo da cui è emerso che esistono PR e consulenti vicini al mondo del cinema e delle celebrità che hanno a certezza di poter pilotare l’opinione pubblica, almeno in alcune nicchie social, proprio via account Twitter e Reddit. Quali, con che scopi, in che modo?
Ultimo tassello: prima di questa polemica sull’AI, diciamo una settimana fa, su Twitter andava forte quella che mi sento di definire una teoria del complotto sull’impronta sionista di The Brutalist. Che invece, se proprio, appoggia una critica non tenera alle radici americane del sionismo e su come lo stesso abbia riletto e distorto quanto successo nei campi di concentramento. Solo che la mancanza di qualcosa di screenshottabile, di una scena piratata da tagliare ad arte e le dichiarazioni pubbliche molto accorte di Brady Corbert e quelle esplicitamente pro Palestina dell’interprete del film Guy Pierce avevano sgonfiato sul nascere la questione.
Ma del sospetto di come ci siano consulenti che lavorano attivamente a distrugge la campagna all’Oscar altrui, nell’ombra, un sub reddit e un tweet alla volta, ne parleremo un’altra volta.
Fonti:
https://x.com/Feature_First/status/1880744046441976085
https://featurefirst.net/the-brutalist-criticised-for-its-use-of-ai/
https://variety.com/2025/film/news/director-brady-corbet-defends-ai-use-the-brutalist-adrien-brody-felicity-jones-1236279504/
https://www.redsharknews.com/why-epic-period-drama-movie-the-brutalist-was-shot-on-vistavision
https://time.com/6287494/barbie-land-dream-house-movie-set-greta-gerwig/
https://variety.com/2024/artisans/news/judy-becker-shooting-hungary-for-us-in-the-brutalist-1236249731/
https://filmmakermagazine.com/117846-midjourney-generative-ai/
https://www.redsharknews.com/the-brutalist-and-the-ongoing-debate-about-the-role-of-ai-in-the-movies
https://x.com/mattiazisa/status/1880982103443362205